Il blog della casa editrice Annulli Editori è in gestazione da un bel po’ di tempo. Tante le idee che si sono accavallate nella mia mente durante questi, diciamo, 5-6 mesi, ma mai nessuna che avesse l’ardore di concretizzarsi in un articolo degno di nota. Finché, alla fine, non è venuto in mio aiuto twitter.
Già, proprio lui, quella “rete sociale” che fino a poco tempo fa in pochi conoscevano (per lo meno in Italia) e che ora tutti adorano al limite della sopportazione (se avete seguito la vicenda Michele Serra vs twitter avete capito a cosa mi riferisco). Quello strumento che proprio Michele Serra, e Wu Ming prima di lui, hanno additato (non senza ragioni) di conformismo e incapacità di sintesi è riuscito a darmi lo spunto giusto. Lo spunto, già. Anche se in realtà a voler essere sinceri fino in fondo lo spunto viene proprio dai discorsi fatti a suo tempo da Wu Ming e dal recente articolo di Serra che hanno individuato e messo a fuoco (a mio vedere giustamente) i limiti e i pericoli insiti nel mezzo. Il resto è il frutto di una discussione avvenuta su twitter. Comunque, passiamo al sodo.
Ieri sera, mentre era in corso la lapidazione di massa di Serra avvenuta per voce del “popolo di twitter” e incapacitato a comprendere sfoghi così fuori fuoco e finanche infami (quasi che Serra avesse bestemmiato il loro Dio), mi sono lanciato in un “lungo” monologo sull’uso improprio del mezzo che in pochi hanno avuto l’onore (o l’onere) di leggere, non avendo (di proposito) “hashtaggato” nessuno dei miei tweets. Un’esternazione di pensieri che mi è “costata” però un paragone ingombrante e una successiva interessante discussione con uno dei miei “sostenitori” in merito all’uso di twitter e la possibilità di forzarne i limiti attraverso l’uso del monologo come mezzo di espressione. Una cosa che, tradotta in concreto, significherebbe lunghe serie di pensieri (su un unico argomento e “hashtaggati” con #monologando: questa ultima idea è sua) in 140 caratteri che presi insieme fanno il monologo, una cosa da leggere, rileggere e introiettare con la dovuta calma: praticamente il contrario di quello che avviene quotidianamente su quel social network, dove a volte si fa veramente fatica ad articolare pensieri e ad affrontare anche le più semplici discussioni.
Oggi pomeriggio un post sul blog di Angelo Ricci che citava un articolo di Marco Niada mi ha dato l’occasione per ripetere l’esperimento. Si trattava di una riflessione sul “tempo” e sulla sua percezione che ben si adattava sia alle mie riflessioni sull’uso del mezzo che all’idea di introdurre monologhi così come pensata e spiegata poco più in alto (e, a pensarci bene e a voler fare un po’ di autoironia, al tempo biblico che ho impiegato per partorire il blog)
Quello che voglio fare, quindi, è semplicemente riportare sul blog (pur aggiustato, depurato degli hashtags #monologando e degli espedienti letterari dettati dagli spazi ristretti) il monologo di oggi sulla percezione e l’uso del tempo nella nostra vita quotidiana; un tema che porta con se una lunga lista di questioni (che non sto ad elencarvi altrimenti finisce che me la canto e me la suono da solo) che meriterebbero un’attenzione e un’analisi molto più approfondite di quelle che noi semplici cittadini, ma anche coloro che si autodefiniscono intellettuali, gli dedichiamo normalmente.
Ovviamente la discussione è aperta, ma con due avvertenze. La prima: quello che leggerete è, come spesso accade ai monologhi, una serie di pensieri a volte confusi e giustapposti senza alcuna coerenza che meritano di essere sciolti per mezzo della discussione; la seconda: si sta parlando del “tempo”, e anche di altre cose, ma non di “Michele Serra vs twitter”. Se è di quello che volete parlare, siete pregati di cambiare blog. Grazie, benvenuti e buona navigazione.
Leonardo Annulli
« “Il problema sta nel rapporto sempre più bulimico che abbiamo con il tempo” (cit.)
Il tempo. Quanto tempo dedichiamo a noi stessi, alla lettura, alla musica, alla cucina? Quanto tempo ci facciamo sottrarre? Quanto tempo intercorre tra un click sul link e il momento in cui finiamo di leggere? Dedichiamo agli articoli il tempo necessario alla loro comprensione? Quanto tempo dedichiamo a cose che richiedono tempo e quanto a quelle che facciamo senza accorgercene?
E se davvero la nostra percezione del tempo si è così radicalmente modificata, quali sono le cause di questo cambiamento? Perché non tentiamo di scovarle e combatterle? Dovremmo dedicare più tempo al tempo, altro che storie. Dovremmo lottare per farcelo restituire indietro, il tempo.
“Lavorare con lentezza”, qualcuno se la ricorda? La canzone, mica il film: prendetevi il tempo di ascoltarla.
Slowfood, slowbook, slowcore, slowtwitter monologando, prendersi il tempo di leggere, capire, introiettare e infine rispondere.
Il tempo del libro e del giornale, il tempo del pasto e quello del disco contro quello delle notizie flash, dei ritweet incontrollati, dei panini e degli mp3. Il tempo della campagna, della natura e degli animali contro quello della città, delle metropolitane e dei TAV. E infine: il tempo della decrescita contro quello della crescita e delle recessioni. È forse giunta l’ora? »