Veniamo a sporcare queste pagine per parlare di un tema che ci sta molto a cuore, un tema che coinvolge la terra che abitiamo, la Tuscia, e ha a che fare con il rapporto che intratteniamo con essa.
Ci preme parlarne ora perché questo territorio si sta trovando ad affrontare, proprio in questi mesi, una grave minaccia ambientale. Stiamo parlando del famoso «progetto Nocciola Italia» della Ferrero: un piano agroindustriale vero e proprio, vecchio stile, che prevede l’impianto di noccioleti su vaste aree dell’Alta Tuscia, dell’altopiano dell’Alfina, dell’Orvietano (alcuni sono già attivi, altri «in costruzione») e che la multinazionale va vendendo come una «rivoluzione». Parola pesante e fuori luogo, quest’ultima, perché a ben vedere, di rivoluzionario c’è ben poco. Il progetto si presenta, piuttosto, con le rughe e gli acciacchi della vecchia agricoltura intensiva: vaste aree di monocoltura, sfruttamento intenso delle falde acquifere e uso massiccio di fertilizzanti e fitofarmaci. Si porta dietro un passato pesante fatto di disastri ambientali (vedi il lago di Vico) e terra strappata alle colture autoctone, alla diversità delle colture, patrimonio della storia contadina e dell’umanità tutta. Si presenta, dunque, come una grave minaccia ambientale per il lago di Bolsena, ben spiegata nei dettagli dall’Osservatorio ambientale del lago di Bolsena in un articolo di qualche mese fa.
Ci sembra che la situazione assomigli molto a quella descritta dalla regista Alice Rohrwacher nella lettera aperta ai presidenti delle regioni Lazio, Umbria e Toscana pubblicata qualche mese fa su «La Repubblica», e cioè quella di «un fenomeno che trasforma il bene di pochi nella maledizione di tanti».
Stante la grave minaccia, abbiamo pensato fosse giusto iniziare a parlarne anche qui, perché è da questo territorio che traiamo, da sempre, la nostra linfa vitale, come fa una pianta con le sue radici. Come cittadini, poi, sentiamo di appartenere a questa terra e alle comunità che la abitano, e crediamo sia importante attivarsi per difenderla e difenderle quando si intravede il pericolo, ché tacere e poi lamentarsi in futuro, a cose fatte, è da irresponsabili.
Riportiamo a questo proposito un intervento che Katia Maurelli, storica libraia e agitatrice culturale di Bolsena con la Libr’Osteria Le Sorgenti, ha postato su facebook qualche settimana fa, perché ci pare colga bene i due aspetti fondamentali di tutta questa faccenda.
Facciamo un po’ di geologia di base, l’ABC per capire il nostro territorio. «Il bacino imbrifero è il territorio che circonda un lago o un mare e che, grazie alla sua pendenza, permette una raccolta naturale delle acque piovane che finiscono per alimentare il corpo idrico recettore».¹ «Un bacino idrogeologico è la frazione di bacino idrologico posta nel sottosuolo».² Buona parte dei territori delimitati entro la linea blu del bacino idrogeologico del lago di Bolsena, sono stati coperti da vaste estensioni di noccioleti. I trattamenti chimici previsti per questa coltura saranno pesantissimi, gli stessi che hanno causato la “morte” del lago di Vico. Nei periodi dell’anno dedicati ai trattamenti per irrorazione, l’aria diventerà irrespirabile, preparate le maschere a gas, voi che vivete in campagna! La scelta di vivere nelle campagne del nostro territorio si rivelerà mortale. Il tasso di tumori nell’area dei noccioleti sui Cimini è altissimo, supera di molto le medie nazionali. Con il suo Progetto Nocciola Italia la Ferrero/Nestlé detterà tempi, quantità e modalità dei trattamenti, determinerà il prezzo di vendita del prodotto, che peraltro è collegato a prezzi del mercato internazionale: le nocciole italiane NON SARANNO pagate di più perché italiane. Questa è una bugia. Le regioni dicono che ci sarà una ricaduta positiva in termini di lavoro e di guadagni: queste sono altre bugie, la meccanizzazione non garantisce alcun posto di lavoro. Non ci sarà la crescita locale: gli impianti che stanno ricoprendo il nostro territorio sono di proprietà di gente che vive molto lontano da qui: si tratta in realtà di un ennesimo esempio di «land grabbing (accaparramento delle terre): quando una larga porzione di terra considerata “inutilizzata” è venduta a terzi, aziende o governi di altri paesi senza il consenso delle comunità che ci abitano o che la utilizzano, spesso da anni, per coltivare e produrre il loro cibo».³ Il Progetto Nocciola Italia della Ferrero/Nestlè, avallato dalla Regione Umbria, Regione Lazio e Regione Toscana è un attacco alla nostra sovranità alimentare. Loro muovono dall’idea che noi dobbiamo mangiare solo quello che è prodotto altrove e che arriva nei supermercati. Non considerano che la maggior parte di noi mangia cibo prodotto dagli ortolani locali, formaggio di animali che pascolano nella nostra zona, miele di api che suggono i fiori dei campi e dei boschi che ci circondano. Quando la monocoltura delle nocciole si mangerà il nostro territorio, tutto ciò non sarà più, e potremo nutrirci esclusivamente di prodotti provenienti da molto lontano, in serre, in modalità industriale… Questa è la loro idea di crescita e sviluppo. Cominciamo con il dire che NO, noi abbiamo un’idea molto diversa, e vogliamo difendere la nostra sovranità alimentare e la biodiversità del nostro pianeta.
I due aspetti di cui dicevamo sono quelli citati nella chiamata all’azione finale – che condividiamo: la «sovranità alimentare» e la «biodiversità». La biodiversità di un territorio si riferisce, come esprime bene la parola stessa, alla varietà degli organismi viventi che lo abitano.⁴ Vale la pena ricordare, a questo proposito, i risultati del primo studio sulla biodiversità nel mondo (The State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture) presentato dalla FAO giusto qualche settimana fa e il quale, avendo constatato una considerevole perdita di biodiversità, ammonisce: «This places the future of our food and the environment under severe threat». Questa perdita, dice la FAO, costituisce una «seria minaccia» per l’ambiente e gli ecosistemi, ma anche per «la produzione di cibo». Ben fa allora, Katia, a richiamare il rischio di catastrofi che ad alcuni potranno apparire orride fantasie, ma che invece sono questioni molto concrete. Stando così le cose, dobbiamo farci qualche domanda: vogliamo davvero dare il nostro territorio in pasto ai profitti di un gigante dell’agroindustria e alle sue colture intensive, senza dire nulla, senza far valere il nostro essere «sovrani», il nostro voler decidere cosa seminare e cosa mettere sulla tavola? ⁵ Siamo sicuri di voler accettare questi grandi rischi avendo come contropartita una quantità di posti di lavoro che, davvero, potrebbe essere davvero minima? Noi pensiamo che esistano della alternative a tutto questo – l’Osservatorio del lago di Bolsena ne ha discussa una molto concreta nel secondo articolo dedicato alla questione delle nocciole – ed è di questo che vorremmo discutere.
Diverse associazioni hanno già lanciato un’iniziativa di informazione e dibattito sul tema, che si terrà il 16 marzo a Orvieto presso la sala del Governatore del Palazzo dei Sette (trovate tutte le informazioni nella locandina qui accanto – cliccabile e ingrandibile). Noi ci uniamo volentieri a coloro che sostengono l’iniziativa, perché crediamo possa essere un’ottima occasione per chi voglia informarsi e approfondire i «noccioli del problema» e, allo stesso tempo, che possa diventare un importante momento di mobilitazione popolare, di costruzione di cittadinanza; e quindi, naturalmente, partecipiamo e vi invitiamo a partecipare.
Leonardo Annulli